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VITA

LE ORIGINI

Sapeva suscitare anche nell’animo di chi semplicemente incrociava il suo sguardo, l’irresistibile desiderio di conoscerlo.

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Per la famiglia e i compaesani era un mistero, ma lo amavano

Gli anziani di Allumiere, suo paese natio, dicevano che il solo guardarlo, anche da bambino, dava buone sensazioni.

Rosa, la sorella di Leo Amici, morta nel 1988, raccontava sempre che un giorno Leo tornò a casa senza calzoni e senza scarpe e la mamma scoprì che li aveva dati a due bambini che ne avevano bisogno. 
Raccontava inoltre che, per gioco, lei nascondeva degli oggetti di casa nei posti più impensabili... «ma mio fratello Leo…» diceva... «in men che non si dica, scovava il nascondiglio lasciandomi a bocca aperta!»

Frezza – così era soprannominato un suo amico – aggiungeva: «…ha partecipato alla seconda guerra mondiale arruolato in marina! C’ero anche io quando si gettò in mare dicendo: “chi si vuole salvare mi segua.” La nave affondò subito dopo... 
In caserma accadde la stessa cosa. Uscì per primo quella volta, io lo seguii... e chi lo fece con me si salvò! La polveriera saltò in aria: chi gli credeva si salvava.»

Nell’immediato dopoguerra entrò in un deposito di viveri calandosi dal tetto, aprì le porte e diede da mangiare agli sfollati: fu denunciato e punito.

La fidanzata capì ben presto il particolare stile di vita di Leo e così, prima che si sposassero, si sentì chiedere più volte: «Sei sicura? La mia vita sarà dura». 

Rispose «Sì» pur sapendo che avrebbe dovuto accettare la sua dedizione al prossimo e condividerla.

Leo aveva un solo paio di scarpe rotte e spesso i calzini erano sporchi di sangue: c’erano dei chiodi che la moglie batteva con il martello, ma puntualmente ricomparivano come le piaghe e il sangue nei calzini. Erano come penitenze che lui nascondeva: difficile accettare e capire.

Una volta gli rubarono il portafogli proprio in casa, a Civitavecchia; lo svuotarono e poi lo lasciarono cadere a terra. Un testimone lo avvertì ed egli prese altri soldi e li consegnò al ladro: «Se ha rubato - disse - ne avrà bisogno ancora».
 

Marisa, catechista della parrocchia di San Gordiano di Civitavecchia, stimava  quest’uomo così semplice ed umile e, dopo averlo conosciuto, si avvicinò ancora di più alla Chiesa, anche nelle più umili incombenze. Fu lei a trovargli un appellativo più degno dei vari “Zi’ Leo” o altro ed iniziò a chiamarlo maestro, perché sapeva insegnare e trasmettere i veri valori della vita. Leo però ripeteva: «Chiamatemi come volete, anche con un ahò!»

Zi’ Armando raccontava: 

«…siamo cresciuti insieme, abitavamo porta a porta. Andavamo tutti i giorni a scuola insieme. Una mattina, in prossimità della scuola, udimmo degli strilli, erano urla disperate di donna: i suoi due figli, uno di nove e l’altro di undici anni, erano caduti dentro un pozzo pieno d’acqua, profondo più di 10 metri e stavano annegando. La gente stava lì intorno a guardare, ma non sapeva cosa fare... Leo, senza nemmeno fiatare, gettò a terra la cartella e si tuffò: con due bracciate salvò i due ragazzini che erano più grandi di lui! Sono anni che ci penso, ma non mi capacito, non riesco a darmi una risposta... non tanto perché li ha salvati, anche se so che questo ha la sua importanza, ma perché eravamo cresciuti insieme... Allumiere è un posto di montagna, lì il mare non c’è, neanche una piscina! Come non sapevo nuotare io e tutti gli altri del paese... non poteva saper nuotare nemmeno lui! E invece… sembrava un pesce... ma come faceva a saper nuotare? ...è un mistero! Sono passati tanti anni e ancora non riesco a darmi una risposta…»

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Leo Amici, dopo il fronte, è tornato tante volte a Rimini: ci saremo frequentati per una ventina d’anni. A volte gli dicevo: «Vieni con me, ti porto io», ma lui: «Vado da solo, non so dove mi fermo, dove vado!». 
Era tanto buono! Anche troppo! 


Quando si pescava, a volte Osvaldo aveva freddo e lui si levava la giacca: «Tieni, prendi Osvaldo, metti su». 
A volte veniva a portare i biscotti, ci diceva: «Tenete, mangiate, mangiate...». Gli dicevo: «Non ti vedo mai, sei sempre in giro» e lui: «Sapessi quanta strada faccio, io!» «Ma dove vai?» gli chiedevo, «Dovunque vada ho amici, sai che ho amici dappertutto? Non spendo niente dove vado: tutti mi vorrebbero», ed io: «Sarai un missionario, ti pagheranno i preti», si arrabbiava!: «No, ma guarda che roba, ti dico di no!». 
Aveva sempre un sorriso! Sempre! Parlava calmo, a volte ripeto a mia moglie le parole buone che ho imparato da lui. 
Faceva anche molta carità, aiutava molta gente.
 
A volte diceva: «Se tu fai una cosa fatta bene, vedrai, il giorno che la fai ti ritrovi molto tranquillo. Se un giorno magari fai una cosa che non dovevi fare, ti senti male. Io quando do anche dieci lire ad un poveretto, mi sembra di essere un signore». 

Affermava: «Quando siamo morti non è tutto finito!» Io rispondevo: «Quando siamo morti ci buttano due metri di terra sopra!» «Tu ti sbagli» mi diceva: «C’è qualcuno, ricordatelo: se fai del male domani te lo ritroverai. Vedi Mario, siamo in questo mondo, c’è tanta gente che spreca, tanta che soffre, non è giusto, bisognerebbe tutti adattarsi, adoperarsi per quello che uno può, fare qualcosa in meno per noi per darlo, e invece vedi come va il mondo!». 

Ricordo che una volta, tornato dall’America, disse: «Sono povero come un cane, non ho neanche un soldo». «Sei andato in giro con qualcuno là?!...» «Non dirlo neanche per scherzo! C’era un poveretto che aveva bisogno... ho cercato di aiutare la povera gente...» Gli dicevo: «Bravo minchione! Ma non ti fermi mai...?» «Guarda Mario, te lo assicuro, la prossima volta che vengo a Rimini ho in mente di fare una cosa grande, ma non te la posso dire, vedrai che dopo rimango molto tempo». 
Ricordo anche di quando mi diceva che gli erano morti i genitori: allora aveva molti vestiti, molte cose buone, gli dicevo: «Le hai tenute per te!» «No, le ho regalate! Avevo una casetta che i miei non hanno mai adoperato... la volevo regalare al parroco». «Allora sei con i preti!» gli dicevo, «No, non la volevo solo regalare... perché lì vorrei fare una piccola cappella per riunire la gente...» 
A volte mi parlava della sua città, gli chiedevo: «Come mai non ti piace stare lì?» «No, non è che non mi piace... star fermo in un posto, anche se ci sono nato, non ci sto... in un posto, se non c’è uno scopo non rimango fisso!!». 


Quando non lo vedemmo più tornare, Osvaldo mi chiese: «Mario, hai saputo niente di Leo? L’hai più visto?» «L’ho visto dodici o tredici anni fa, ha detto che viene a Rimini, che dopo starà molto tempo... che farà qualcosa di grande...» «Ah, ma lui sai com’è, non dice le sue cose... prima le vuol fare poi le dice...!» «Eh, lo so! chissà cosa farà?!» «Quando viene lo vedremo, no?...»

Mario (Pensionato Rimini)

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Leo Amici, la moglie Ivana e il nipote Leo. 

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La figlia Cristina e la moglie Ivana

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