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VITA

È AMICO DI TUTTI

Molti dicono di essere stati guariti e di aver ritrovato la fede attraverso di lui.
A tutti ripeteva: «Quando sei guarito, felice e ami il tuo prossimo, tu mi hai ripagato».

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Signora lei sorride, ma i suoi occhi sono tristi

L’ho conosciuto nell’ultimo mese del ‘54, o all’inizio del ‘55, non ricordo esattamente la data. Me lo presentò un carissimo amico a Piazza Colonna, vicino al bar di via Antonina (Roma). Mi diede la mano dicendo: «Signora, lei sorride, ma i suoi occhi sono tristi». 

Gli raccontai di avere un bambino che era stato operato appena nato, ma stava ancora male e quindi non potevo essere molto allegra. Non so come abbia potuto notare questa mia tristezza interna, perché la camuffavo molto bene. 
Lui continuò: «Signora non sono tutti qui i suoi guai, adesso cos’ha? Gli hanno riscontrato l’asma». E lui: «Allora ascolti, faccia una cosa, quando viene Giugno lo porti due mesi al mare, gli dia da bere un decotto la mattina, a digiuno e la sera verso le cinque e mezza, le sei, gli dia un succo di mela tiepido».
Io lo ringraziai: «Signora faccia questo, e per l’asma lo porti adesso che è piccolo a respirare alla mattina presto e non lo tenga fuori quando c’è il sole». Rimasi un po' titubante, ma c’era qualcosa in me che mi diceva: "Fai questo". 

Cominciai a dargli questo decotto alla mattina, mi sembrava assurdo, ma dentro di me c’era una forza che mi spingeva a farlo. Il bambino per un periodo non ebbe più l’asma, lo portammo al mare e non ebbe mai attacchi, anzi era sempre in spiaggia dalla mattina presto al tramonto.

Si guarì dall’asma. Ero a Roma in via del Corso e lui passò con due, tre persone, perché non l’ho mai incontrato da solo. Mi chiese se volevo andare con loro al bar, ma dovevo rientrare in ufficio. Era sempre molto allegro, era contento di vedermi, mi chiese come stava il bambino. Gli risposi che l’asma era passata e lui: «Vede che il mare fa bene?» Mi sembrava, anche se lo avevo visto solo due volte, di conoscerlo da tanto, tanto, tempo. Era una di quelle persone che quando si incontrano si ha sempre un grande piacere di vederle. Io sto parlando in questo momento, ma mi ritorna, come se fosse accaduto cinque minuti fa, quel gran calore, la sua mano che stringe la mia, ho l’impressione che lui sia qui.

Lia C. (Impiegata)

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«Quando ero giovane - dice - soffrivo tanto di mal di stomaco. Lo feci chiamare. Venne a casa mia, mi fece allungare le braccia ed afferrare lo stipite della porta e poi, con una rapida manovra indolore, toccò la parte dello stomaco che mi faceva male. Io guarii. Non volle nulla in cambio, mi disse solo di amare il mio prossimo».

Annunziata P. (83 anni)

Nel mese di maggio del 1975 ho avuto il piacere di conoscere il maestro Leo Amici in occasione della sua venuta a Barcellona. Ero sofferente da parecchi anni ad una gamba e camminare mi era molto difficile, dovevo sempre stare appoggiata a qualcuno. Avevo fatto diverse cure senza ottenere però alcun beneficio. 
Arrivai da lui quasi sorretta da mia figlia e da mio genero. La mia visita è stata più una curiosità che il desiderio di trovare qualcosa che facesse al caso mio. 
C’era parecchia gente nella stanza dove sedeva: ci ha presentato un amico comune. Non credo di aver parlato molto con lui, però stranamente nel guardarlo ho provato tanta fiducia e uno stato di tranquillità. 
Sono andata via senza più farmi sorreggere, cosa sia stato non lo so, perché da allora ho sempre camminato speditamente, senza più farmi sorreggere da alcuno. Oggi cammino, lavoro in casa e mi rendo utile alla mia famiglia.

Silvia B. (80 anni)

Mi dissero che era un avvenimento inusuale che Leo Amici contattasse un giornalista; eppure con me fu diverso. Mi si sedette accanto, rispondendo pacatamente alle mie domande: senza enfasi, con modestia. 
Non era certo un tipo da cattedra che sputa sentenze. Era l’uomo semplice che parlava di Dio, dell’amore per l’umanità, della speranza. 
Lui non poteva certo sapere in quali condizioni fossi: accennai al mio problema, dicendogli che l’indomani dovevo partire per Milano e proseguire per Lione, dove era stata fissata una visita da un ortopedico di livello internazionale.

Mi guardò a lungo, con i suoi occhi a punta di spillo; con semplicità, pronunciò questa frase: “Lei è bella dentro, come è bella fuori... io penserò a lei”. 
Ebbene andai a Lione: visita congiunta dell’ortopedico, di un chirurgo, di un radiologo. Diagnosi: «Lei non camminerà più se non si farà applicare una protesi, perché la cartilagine è corrosa». Chiesi loro se la guarigione sarebbe stata assicurata. «No, al cento per cento» - risposero. E allora ribattei, abbastanza seccata: «Professore se la metta lei la protesi...» e scoraggiata ritornai a Rimini. 
A Leo Amici, lo confesso, non pensai più. Il mio compito di cronista alla ricerca della verità era esaurito. Improvvisamente, col trascorrere dei mesi, mi accorsi che l’arto non mi doleva più, la febbriciattola quotidiana era scomparsa. 
Sì, insomma, stavo riprendendo a camminare normalmente, quando, tempo addietro, per me era un’impresa scendere un solo gradino. Fu proprio manovrando per caso il registratore, che captai nuovamente la voce di Amici e quella frase: «Io penserò a lei...».

Marian Urbani (giornalista)

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