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VITA

DA QUANDO TE NE SEI ANDATO

L’Associazione Dare continua pubblicamente il proprio impegno di fede e, nel 1993, sottoscrive, in un documento depositato in Diocesi, la propria adesione alle grandi Verità della Fede Cattolica.

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Sul letto di morte Maria promise a Leo Amici di curare e sostenere tutte le persone che sarebbero rimaste senza di lui e di realizzare fino alla fine tutto il suo progetto. A lei si unì Carlo

Per chi ha fede la morte non esiste, ché quel giorno è come andare a nozze, che va incontro ad un amore sublime, varca la soglia della vera vita e si prepara per una lunga gita.

Una volta, vedendolo stanco, gli dissi: «Il peso di un giorno in più sulle tue spalle!» ma egli, rilassando il volto e sorridendo rispose: «Un giorno in meno, Carlo, prima della vera vita!»

Ti direi che ho insegnato al mio bambino che definisce il lago «L’acqua di nonno Leo baciata», a fare il segno della croce prima di ogni pasto, come lo eseguivi tu anche al ristorante: mite e solenne! Che porto, come te, la croce di Gesù sul petto e che penetra sempre di più in me, sprofondando con impeto, nel mio cuore. Il tetto della mia casa di legno è affollato di passerotti ed Emanuele aspetta sempre che qualcuno voli sul davanzale per salutarlo. Sono certo che da grande ne poserà qualcuno sulle dita per portarlo... al bar! Come facevi tu... o sul cappello, stupendo i passanti... Tu mi chiederesti: «Come va, Carlo?» intendendo tutta la mia vita e l’opera da svolgere per il prossimo che hai lasciato... Ti risponderei: «Bene!» Ti direi che la tua Daniela, conosciuta al tuo fianco è, come sempre, al suo posto e accanto a me. Così Maria e Stefano, che hanno continuato a sostenermi ed a realizzare la tua opera, in tutti questi anni. Ti direi che il Centro Benessere, che tu volevi più di ogni altra cosa, sta dando buoni risultati a coloro che hanno bisogno di ristoro nel corpo e nello spirito, che la casa per i bambini orfani è pronta, che la fondazione che tu volevi è attiva. Lo direi trattenendo in me le lotte, le difficoltà, gli ostacoli che la vita mi ha messo davanti per arrivare fin qui. Eviterei di parlarti del male che si insinua e sgretola ciò che, con pazienza, si costruisce. Lo terrei per me, nel silenzio, lasciando spazio solo all’intesa con te e fermando nella mente la tua immagine di allora, scolpita in me, quando, per difenderti dalle brutte opinioni della gente, avrei voluto... chissà che! E tu mi dicevi: «Lascia perdere!» quando per strada qualcuno, deridendoti sogghignava... «Maestro di che, maestro di musica?» e tu tiravi dritto dandomi prove di fede e di umiltà... di fronte agli elogi rimanevi nello stesso modo, semplice ed umile....

Sono trascorsi tanti anni da quando te ne sei andato. Rivedo con la mente il cielo di quel giorno. Era l’inizio del tramonto: le nubi, numerose e sparse, disegnavano curve e davano sensazioni di maestosità mentre si tingevano di rosa. Sulla provinciale passavano le auto, come sempre, ma non si udiva il rumore dei motori. Suoni e immagini sembravano avvolti da “qualcosa” che avrebbe fermato per sempre quel momento, anche in me. Se potessi, oggi, esserti dinanzi? Ti abbraccerei, ti stringerei a me, ti fisserei negli occhi, come è stato nella vita. Non servirebbero parole, ma parlerei per la gioia d’essere con te e per non mortificare nessuno dei doni dati da Dio per comunicare...

Ti direi che nulla di ciò che ti era gradito in me è mutato, che l’entusiasmo della gioventù non è contaminato, che la forza del dare, per come mi sei stato d’esempio, è integra.

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Ti direi che sono molti i giovani sensibili ai grandi valori: sto trasmettendo tutto ciò che ho imparato anche in seminario, come tu mi avevi chiesto; molta gente ancora non sa di te le cose buone e grandi, ma solo quelle piccole e basse che la vita ti ha elargito ingiustamente. Ti direi che sono qui ancora con Dio nel cuore e la forza del Suo santo spirito e ti sento così vicino da non sapere se stai ancora guardando le cose del mondo con i “miei occhi” oppure se sono io a guardarle con i tuoi…

Carlo Tedeschi

Era l’Aprile del 1984: eravamo in molti attorno al caminetto quel giorno. In un momento di pausa Maria apre un argomento davanti al maestro affinché, a poco a poco, tutti si aggancino per affrontare temi utili alla crescita. Dice quanto sia importante saper trasmettere al prossimo la verità e che questo può accadere solo se si è sgombri da ogni punto negativo, da qualsiasi reazione personale che la provocazione del nostro prossimo può suscitare. Bisogna semplicemente essere veri, parlare per fatti, con semplicità. Questo vale anche nel rispondere a chi chiede di Leo Amici, anche se fossero malelingue. Non serve difendere, perché la verità va solo detta e si difende da sola. Il maestro si alza e si allontana dal gruppo, noi lo guardiamo sorpresi: fatto qualche passo rientra. Il suo aspetto è diverso, come se stesse interpretando una persona che viene per la prima volta. Guarda la sua sedia vuota e, rivolgendosi a Maria, chiede: «Dov’è il maestro?» Maria cerca di capire cosa stia accadendo e comunque sta al gioco: «Non c’è» risponde titubante e lui a voce alta dice: «Allora siamo nel 1986». Scorre tra tutti un attimo di sgomento poi l’atmosfera ritorna normale e Stefania viene invitata a parlare di Leo Amici alla persona nuova che lui sta interpretando. Due anni dopo la sua morte, rileggendo le pagine di questo diario, ci ricordammo dello sgomento di quel momento ormai dimenticato.

Giuseppino Amaducci

Dopo anni di viaggi per incontrare Leo Amici, io e mio marito abbiamo deciso, nel marzo del 1984, di trasferirci dalla Svizzera a Monte Colombo per essergli vicino. Quando glielo abbiamo detto si è preoccupato subito per la casa, il lavoro, ma ha anche soggiunto: «Così avremo il tempo di stare ancora un anno insieme perché poi vado via». In quel momento non mi soffermai su quella frase perché pensavo a qualche suo lungo viaggio. Riuscimmo a trasferirci solo un anno dopo, nel 1985, in giugno, e rimanemmo con lui fino al 1986, quando morì.

Teresa Licari

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Essere, volontà e sapere formano la sostanza spirituale di tutte le creature. La volontà è la forza elementare d’ogni vita: voglio esistere. Ogni essere vivente è mosso da questa volontà di esistere e di conservare la propria esistenza. L’uomo, questa perfetta creazione, manifesta lo spirito di conservazione e tende ad affermare il proprio io con la volontà. Una pianta, affondando le radici nel terreno, cerca alimento e salvezza. Questa volontà di esistere nell’uomo è amore e negli animali istinto.

La conoscenza, il sapere, sono cosa propria dell’essere umano; in alcuni esseri inferiori è esperienza e ricordo. Tutti anelano alla vita, non tutti la sanno affrontare.

Leo Amici era accanto a coloro che trovavano difficile affrontare le avversità. Il suo carisma gli tracciava una via luminosa e su quella trascinava coloro che lo circondavano.

La forza d’animo diventava un suo dono personale per chi soffriva, la sua spalla era il naturale sostegno per coloro che cedevano al dolore. Ma dopo un minuto la sua mano caritatevole sollevava il mento di chi piangeva e le lacrime scomparivano in un sorriso. Faceva cose meravigliose e quasi le nascondeva. Col suo buffo parlare in dialetto si faceva capire da ciascuno nella sua lingua. Non temeva di comparire nella lontana Australia né nei Paesi dell’Europa. Tutti coloro che lo circondavano avevano diritto, secondo lui, alla sua comprensione. Ci sono stati: don Bosco che raccoglieva intorno a sé i diseredati; Giovanna D’Arco, che seppe guidare alla vittoria, lei fragile donna, i rudi guerrieri di Francia; Francesco che percorreva le valli dell’Umbria, spargendo dovunque il sorriso e la gioia di vivere. Eppure il suo modo di parlare era semplice e disadorno. Ma la sua parola penetrava ogni mente.

Leo Amici è uscito dalle ombre di una vita fin troppo semplice per dare corpo al suo sogno: 

questo Paese del Lago che racchiude tutta la sua filosofia della vita.

Lavorare tutti insieme per dare corpo ai sogni più belli e scendere dal sogno alla concretezza, non solo per sè ma per tutti coloro che credono nella vita dedicata al bene.

Certamente i più anziani, cresciuti e realizzatisi all’ombra di Leo Amici, hanno raccontato ai più giovani la leggendaria vita del maestro.

Forse era un uomo istintivo, poco cerimonioso, ma pieno di delicata dolcezza al momento opportuno. Aveva tanti pensieri ma era pronto ad accorgersi di colui che soffriva, anche se avesse taciuta la sua pena.  Credeva nella vita e sapeva indicarne agli altri i valori essenziali: era un ponte luminoso tra la speranza e la concretezza.

Trascinava anche il più riottoso a credere in quel che doveva o poteva fare, comprendeva la capacità e le virtù nascoste di coloro che lo circondavano. 

Ma non possiamo dimenticare certe poesie di Leo Amici e certi suoi pensieri. Uno mi ha colpito nel prendersela con l'abuso delle medicine, all'improvviso afferma «Ancora l’uomo deve ritrovare Dio, per conoscere la sua perfezione».

Perfezione dell’uomo, non di Dio che è già perfetto.

L’uomo è pensato e visto come essere che tende e deve tendere alla propria perfezione. Leo altrove aggiunge: «Solamente con tanta umiltà si può fare una confessione senza frontiera». 

Amici vuol significare che perché l’uomo somigli a se stesso, prendendo coscienza dei propri errori, è necessario essere umili, cioè non avere presunzioni e troppa opinione di se stessi: essere umili. 

Leo Amici non diceva mai: «IO». Diceva piuttosto «NOI» perché negava la sua personalità per confondersi nello spirito degli altri. 

Leo si preoccupava. Ancora dieci anni fa scrive: «L’uomo si sta inasprendo, sta devastando la natura senza mai guardare la perfezione di Dio». E spiega l’urgenza: «La nostra vita scorre veloce come un fiume, tutto ciò che vedi corre via insieme col tempo».

Piccoli individui lo hanno attaccato. «Chiamami fratello se tu vuoi. Fratello, che è arrivato al colmo della fede».

E, come Francesco, aggiunge: «Non ti ho chiesto nulla ma ti ho sempre dato».  [...] 

Era un uomo al di sopra delle piccole cose, dei propri interessi. Lasciate che io vi lasci in compagnia del maestro, del quale ho forse malamente tratteggiata la personalità e l’umanità.  Non era un santo né un mago. Era un Uomo, quello che lui stesso tratteggia nel libro delle massime: «L’uomo vero è colui che ha scartato tutto il falso dentro di sè, che non tradisce, non mortifica, non mente, non giudica, non è freddo verso il suo prossimo ma che è leale, amico, compagno, fratello, sincero, giusto. Questo è l’uomo vero».

Fratelli del Lago: questo è Leo Amici.

Bruzio Pirrongelli

16 aprile 1996

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